Transfer pricing, la documentazione nazionale va prodotta in lingua italiana

In materia di Transfer Pricing, l’Agenzia delle entrate si è pronunciata in merito alla possibilità di produrre la Documentazione Nazionale in lingua inglese (Agenzia delle entrate, 21 risposta agosto 2024, n. 174).

L’articolo 1, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997 stabilisce che in caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento praticati nell’ambito delle operazioni di cui all’articolo 110, comma 7, del D.P.R. n. 917/1986, da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del credito, la sanzione non si applica qualora, nel corso dell’accesso, ispezione o verifica o di altra attività istruttoria, il contribuente consegni all’Amministrazione finanziaria la documentazione idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati.

 

L’articolo citato prevede che il possesso di tale documentazione, nonché la comunicazione del suo possesso e la consegna durante l’eventuale attività di accesso, ispezione o verifica, costituisce un’esimente ai fini della sanzione amministrativa applicabile nei casi di rettifica del valore di libera concorrenza dei prezzi di trasferimento in attività inerenti al Transfer pricing, nei casi in cui, a seguito di accesso, ispezione o verifica, emerge una maggiore imposta o una differenza del credito.

La suddetta disciplina non contempla un obbligo di predisposizione della documentazione sui prezzi di trasferimento, bensì un onere a carico del contribuente che scelga di aderire a tale facoltà in un’ottica di adempimento spontaneo ottenendo, al contempo, un beneficio in termini di esimente sanzionatoria.

 

La documentazione rilevante ai fini della disciplina in questione è individuata con il provvedimento dell’Agenzia n. 360494/2020, il quale stabilisce che la documentazione idonea è costituita da:

  • un documento denominato Master file;

  • un documento denominato Documentazione nazionale.

In merito al requisito linguistico, il provvedimento stabilisce che il Master file e la Documentazione nazionale devono essere redatti in lingua italiana; tuttavia il Master file può essere presentato in lingua inglese.

Tale statuizione risulta coerente con le Linee guida OCSE, le quali affermano che in materia di Transfer pricing la lingua della documentazione debba essere stabilita dai legislatori nazionali dei singoli Stati.

 

La circolare n. 15/2021, poi, ha precisato che gli allegati alla Documentazione nazionale possono essere presentati anche in una lingua diversa dall’italiano.

 

In conclusione, in risposta all’interpellante, l’Agenzia delle entrate chiarisce che la Documentazione Nazionale deve essere necessariamente presentata in lingua italiana. Tale conclusione vale anche in relazione ai contribuenti, come la società istante, ammessi al regime di adempimento collaborativo in quanto il citato regime e le semplificazioni degli adempimenti tributari ad esso connesse non implicano la possibilità di disattendere specifici obblighi previsti dalla normativa vigente.

Corretto trattamento fiscale degli interessi passivi versati a seguito di adesione

L’Agenzia delle entrate si è espressa in merito ad un quesito sulla deducibilità ai fini IRES e IRAP degli interessi passivi versati sulla base di atti di conciliazione e di accertamento con adesione (Agenzia delle entrate, risposta 20 agosto 2024, n. 172).

L’Agenzia delle entrate ha contestato alla società istante alcuni rilievi in materia di transfer pricing che hanno interessato, in particolare, la misura della remunerazione riconosciuta alla stessa dalla società controllata, per il passaggio della delega di gestione di una terza società.

Attraverso la sottoscrizione di un Accordo, la società istante e la Direzione regionale hanno definito le contestazioni pendenti, identificando la remunerazione che la società controllata avrebbe dovuto corrispondere, in coerenza con la disciplina propria dei prezzi di trasferimento.

L’Accordo ha avuto esecuzione con la definizione degli atti di conciliazione e di adesione relativi ai singoli periodi d’imposta, tenuto conto delle maggiori imposte versate e degli interessi per ritardato versamento.

 

Il quesito posto dalla società istante, dunque, concerne il corretto trattamento fiscale applicabile, ai fini IRES ed IRAP, agli interessi passivi versati in relazione alle maggiori imposte definite a seguito di adesione.

 

Al riguardo, l’Agenzia riconferma l’orientamento espresso nella risposta n. 541/2022, nell’ambito della quale è stato statuito che la deducibilità degli interessi per il ritardato versamento di imposte corrisposti sulla base di atti di conciliazione deve essere determinata solo applicando le modalità di calcolo dettate dal TUIR al loro ammontare complessivo, indipendentemente dal fatto aziendale che li ha generati o dalla deducibilità del costo al quale sono collegabili.

 

Gli interessi passivi correlati alla riscossione e all’accertamento delle imposte non differiscono in nulla da qualsiasi altro onere collegato al ritardo nell’adempimento di un’obbligazione e rientrano quindi nell’ambito applicativo proprio della categoria degli interessi passivi, separandosi inevitabilmente dal regime impositivo del tributo cui accedono.

 

Nella risposta, inoltre, si fa riferimento a un analogo principio già elaborato dall’Amministrazione finanziaria nella risoluzione n. 178/2001, in relazione a interessi passivi corrisposti su finanziamenti erogati per differire il pagamento di sanzioni irrogate dalla Commissione Europea, in cui era stato affermato che l’articolo 63 del TUIR (attuale articolo 96) non pone alcun limite alla deducibilità degli interessi passivi in funzione dell’evento cui gli stessi sono collegati o della natura dell’onere cui essi sono accessori.

 

In conclusione, considerato che il sistema normativo del TUIR riconosce l’autonomia della funzione degli interessi passivi, la loro deducibilità deve essere determinata solo applicando le modalità di calcolo dettate dall’articolo 63 al loro ammontare complessivo, indipendentemente dal fatto aziendale che li ha generati o dalla deducibilità del costo al quale sono collegabili.

Regime IVA con meccanismo di inversione contabile per le cessioni di gas e di energia 

Con il principio di diritto del 12 agosto 2024, n. 2, l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti riguardo all’applicazione dell’IVA con il meccanismo dell’inversione contabile alle cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto passivo-rivenditore.

L’articolo 17, sesto comma, lettera d-quater), del decreto IVA prevede, a partire dal 2015, l’applicazione dell’IVA con il meccanismo dell’inversione contabile (c.d. ”reverse charge”) alle cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto passivo-rivenditore.

 

In particolare, l’articolo 7bis, comma 3, del decreto IVA dispone che, le cessioni di gas attraverso un sistema di gas naturale situato nel territorio dell’Unione o una rete connessa a tale sistema, le cessioni di energia elettrica e le cessioni di calore o di freddo mediante le reti di riscaldamento o di raffreddamento si considerano effettuate nel territorio dello Stato:

  • quando il cessionario è un soggetto passivo-rivenditore stabilito nel territorio dello Stato;

  • quando il cessionario è un soggetto diverso dal rivenditore, se i beni sono usati o consumati nel territorio dello Stato. Se la totalità o parte dei beni non è di fatto utilizzata dal cessionario, limitatamente alla parte non usata o non consumata, le cessioni anzidette si considerano comunque effettuate nel territorio dello Stato quando sono poste in essere nei confronti di soggetti, compresi quelli che non agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professioni, stabiliti nel territorio dello Stato; non si considerano effettuate nel territorio dello Stato le cessioni poste in essere nei confronti di stabili organizzazioni all’estero, per le quali sono effettuati gli acquisti da parte di soggetti domiciliati o residenti in Italia.

L’adempimento dell’imposta secondo il meccanismo dell’inversione contabile prorogato fino al 31 dicembre 2026 dalla Direttiva 2022/890/UE, recepita in Italia con il D.L. n. 73/2022 comporta, dunque, che gli obblighi relativi all’applicazione dell’IVA debbano essere adempiuti dal soggetto passivo cessionario o committente, in luogo del cedente o del prestatore.

 

Pertanto l’Agenzia delle entrate chiarisce che, laddove per effetto dell’aggiornamento dei prezzi relativi all’energia ceduta si verifichi una variazione in aumento della base imponibile delle cessioni di energia elettrica già effettuate nel periodo ante 2015, i maggiori compensi ricevuti ad integrazione di quelli già percepiti ante 2015 andranno fatturati ordinariamente addebitando l’IVA in rivalsa, in quanto in origine non sono state emesse fatture in regime di inversione contabile.

 

In definitiva, il regime di ”reverse chargenon si applica a note di credito riferite a fatture emesse anteriormente all’entrata in vigore dell’applicazione del regime di inversione contabile.